Arlequins Newsletter
Oct , 2003 12: AM
Il nuovo lavoro della band lettone si presenta molto più avventuroso del pur buono cd d'esordio. Si tratta di un concept album basato su una storia vera in cui il gruppo presenta una varietà di rock e di tendenze musicali piuttosto ampio rispetto al semplice stile Floyd-like di "Salt of the Earth". Un cantanto spesso a più voci ci porta a scoprire un album di vero art-rock, ricco di variazioni ed influenze tra le più varie, una sorta di opera rock in cui l'ascoltabilità non sarà forse immediata e che necessita di un ascolto attento e ripetuto per coglierne il filo ed ogni singola sfaccettatura. L'album dà l'impressione di un qualcosa su cui il gruppo ha duramente e a lungo lavorato e forse pecca proprio di iper-produzione, vale a dire che la molta carne al fuoco è stata assemblata forse in maniera non ottimale, ancorché apprezzabile. I brevi spunti che talvolta sembrano aprire a momenti meno complessi e più godibili, vengono immediatamente tarpati da cambi di tempo magari non tirati per i capelli, ma un un po' frustranti per l'ascoltatore. Come dicevo, è difficile raccapezzarsi, anche se, come sempre succede, quando si riesce ad entrare in pieno nel fluire della musica e nella storia da essa raccontata, si riesce ad ascoltare tutto con un altro spirito. Le canzoni hanno spesso un feeling e un approccio che ci fa pensare a dei Cardiacs o dei Talking Heads più sinfonici, pur senza fossilizzarci su queste similitudini in quanto la musica si presenta in modo quanto più vario nell'arco dei suoi 59 minuti. In definitiva si tratta di un album artisticamente valido anche se dall'approccio penalizzante, ma comunque un buon secondo album da parte di questa promettente band.
Alberto Nucci
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